Episodio 4


L’arte del savoir-vivre: vivere il lusso e di lusso, non nel lusso



Il concetto di lusso si presta a molteplici interpretazioni e approcci, ciascuno caratterizzato da una propria essenza e da specifiche motivazioni sottese. Esso si manifesta in tre dimensioni fondamentali: vivere il lusso, vivere di lusso e vivere nel lusso, modalità che, pur convergendo verso il medesimo nucleo semantico, si differenziano profondamente nella loro natura e finalità. Queste tre declinazioni offrono uno sguardo sfaccettato sulle molteplici modalità con cui il lusso viene vissuto.


- Vivere il lusso: Vivere il lusso in questa accezione significa abbracciare un’esperienza di carattere eminentemente immateriale, una condizione legata a dimensioni intime e personali, estranea alla tangibilità dei beni materiali o al valore economico. Il lusso, in questo caso, è il privilegio di godere di ciò che è raro, straordinario e non garantito nella vita quotidiana: il lusso di avere tempo libero, il lusso di coltivare legami autentici o il lusso di preservare una salute ottimale.

Questi elementi, pur sfuggendo alle convenzioni del mercato, incarnano l’essenza stessa dell’esclusività. Essi non sono accessibili in egual misura a tutti, e proprio questa loro rarità li eleva a veri e propri lussi, anche se spesso ignorati o sottovalutati. Il vivere il lusso, in questo senso, si nutre di consapevolezza e gratitudine: solo chi comprende la straordinarietà di questi aspetti immateriali può realmente percepirli come lussi.

Coloro che non riconoscono tale valore, tendono invece a considerarli come elementi scontati, privandosi della possibilità di apprezzarne la bellezza e la straordinarietà.

Vivere il lusso rappresenta un atto di riflessione e riconoscimento, un’espressione della capacità di cogliere la profondità delle esperienze umane. In questo senso, è necessario riconoscere che ciò che si possiede, seppur immateriale, è straordinario proprio perché non universale né garantito.


- Vivere di lusso: La dimensione del vivere di lusso, invece, si distingue per un approccio consapevole al lusso inteso come un mezzo per arricchire la propria esperienza personale attraverso beni ed esperienze di qualità superiore. Questa modalità appartiene ai veri intenditori e cultori del lusso, individui guidati da una sensibilità estetica ed emozionale che li porta a selezionare con cura quello che entra a far parte della loro vita.

Non si tratta di accumulare, ma di scegliere, prediligendo la qualità alla quantità. Chi vive di lusso non ricerca ostentazione né approvazione sociale, ma trae piacere dall’interazione profonda con prodotti e servizi che incarnino la qualità, l’unicità e l’autenticità. Un oggetto di lusso, in questa prospettiva, non è prezioso per il suo costo, ma per la maestria, la storia e il significato che racchiude.

Questo approccio si estende anche alle esperienze: una cena esclusiva, un viaggio straordinario o l’acquisto di un capo sartoriale non sono semplici atti di consumo, ma momenti di arricchimento personale, vissuti pienamente e con discernimento. Il lusso, per chi vive di esso, è un percorso di consapevolezza che conduce a una forma di godimento sofisticato, lontano dalla superficialità e dall’ostentazione.


- Vivere nel lusso: Infine, vivere nel lusso, per contro, rappresenta un approccio più superficiale, caratterizzato da un rapporto quantitativo e ostentatorio con il lusso. In questa dimensione, l’accento non è posto sulla qualità o sull’autenticità dei beni, ma sulla loro capacità di comunicare uno status sociale elevato attraverso il loro costo o la loro appariscenza.

Gli individui che vivono nel lusso, tendono ad accumulare indiscriminatamente beni, spesso senza discernere tra ciò che è realmente di lusso e ciò che è semplicemente costoso. La quantità diviene il parametro predominante, e il lusso viene ridotto a una questione di prezzo: più un bene è oneroso, più alto è il valore percepito, anche se questa percezione non corrisponde alla reale qualità o esclusività dell’oggetto.

Analogamente, le esperienze vissute da chi vive nel lusso seguono questa logica di accumulazione e ostentazione. Non sono scelte dettate dal piacere personale, ma dall’effetto che possono produrre sugli altri. In altre parole, il lusso non è vissuto come un arricchimento interiore, bensì come un palcoscenico sul quale esibire il proprio stile di vita. Per costoro, ciò che esercita fascino non è il lusso in sé, bensì il suo prezzo, elevato a simbolo di prestigio e di presunta superiorità sociale.


La distinzione tra chi vive di lusso e chi vive nel lusso emerge chiaramente ponendo loro una semplice domanda: “Ti piacciono i beni e le esperienze costose?”. Il vero cultore del lusso, risponderà: “No, mi piacciono i beni e le esperienze di lusso”. Al contrario, chi vive nel lusso risponderà affermativamente.

Questo per sottolineare come, per tali individui, il lusso venga erroneamente associato unicamente al costo elevato di beni ed esperienze, senza alcuna considerazione per i valori intrinseci che realmente definiscono l’essenza del lusso, quali l’autenticità, la qualità e l’esclusività. È emblematico osservare come, in molteplici circostanze, prodotti appartenenti ai segmenti premium o alta gamma presentino un prezzo superiore rispetto a quello dei beni di lusso. Tali individui, privi della capacità di discernere tra lusso autentico e semplice costo elevato, tendono a circondarsi indiscriminatamente di beni di lusso e premium.


Le tre modalità di approccio al lusso – vivere il lusso, vivere di lusso e vivere nel lusso – incarnano prospettive diverse che riflettono valori, sensibilità e motivazioni profondamente divergenti. Se vivere il lusso è un atto di consapevolezza che celebra l’immaterialità e l’intangibilità, vivere di lusso è un’arte che esalta l’eccellenza e la qualità. Al contrario, vivere nel lusso si riduce a una ricerca ostentata e superficiale di visibilità e approvazione.



Per immergersi nel lusso, è necessario possedere un'inclinazione naturale, un'attitudine innata che ci predispongano al suddetto. Chi non possiede questa predisposizione e questa attitudine, anche se venisse istruito sull'arte di vivere di lusso e a interagire con esso, non potrebbe mai apprezzare appieno l'elevazione che si raggiunge attraverso un'esistenza lussuosa.


L’arte del savoir-vivre fa perno sul modo di vivere e di porsi in relazione al lusso ed inneggia alla relazione con esso non per mero status, né grazie alle capacità economiche.

Sovente ci ritroviamo dinnanzi ad individui che pensano di poter accedere al lusso solo ed esclusivamente grazie alle risorse finanziarie e non esiste modalità più errata per approcciarsi ad esso. Il suddetto approccio è ingannevole, poiché lascia credere alle persone di poter veramente vivere il lusso, talvolta a stretto contatto con i veri cultori ed estimatori i quali devono condividere ambienti, esperienze ed oggetti con individui agli antipodi del lusso. Sono dell’idea che il lusso dovrebbe essere ancora più selettivo.

Gli adepti li seleziona accuratamente esso stesso ma, quando si tratta di risorse economiche, può spesso succedere che sia più “lascivo” in quanto a selettività. Ormai il lusso sta diventando sempre più un’industria, un commercio prima ancora di essere un’attitudine, una ricerca della bellezza e dell’elevazione.


Anche da fuori non si avverte più una distinzione netta tra il cultore del lusso ed il consumatore dello stesso (differenza sostanziale). Può succedere, e anche spesso, di ritrovare queste due tipologie di persone nel medesimo hotel storico e prestigioso, nello stesso ristorante di alta cucina, in possesso di borse, scarpe e accessori del medesimo designer. Questo perché, non si avverte più una distinzione sostanziale tra il lusso e il suo surrogato, non solo a livello meramente di brand e marchi, ma anche a livello di esperienze.


A livello di brand, “dirottare” i cultori verso marchi che siano veramente di lusso non è un lavoro complesso, per due motivi: prima di tutto non ci dovrebbe essere bisogno di “guidarli” nella scelta, dal momento in cui hanno le capacità, la cultura e il buon gusto per farlo autonomamente; in secondo luogo, si scorgono differenze sostanziali anche solo a livello di estetica di un prodotto o di un oggetto, tra uno di lusso e un suo surrogato.

A livello di esperienze, la questione risulta più ardua. Non basta analizzare dove si dirigono le masse per compiere scelte in netta contrapposizione, e non basta nemmeno scegliere in base ai propri standard elevati.

Le masse, gli individui “ordinari”, non discernendo, non essendo selettivi e non avendo sviluppato una cultura appropriata in materia, possono tranquillamente compiere esperienze di pura mondanità il giorno prima e, il giorno dopo, sorseggiare un buon Bordeaux in una residenza storica avvolti ed inebriati da musica dal vivo composta da rinomati pianisti. Non basta, semplicemente, come suggeriscono numerosi trattati illuminati, scegliere in base al proprio buon gusto innato ed eleggere, come criterio di selezione, la ricerca spasmodica della bellezza, in quanto quest’ultima verrebbe insudiciata se non, addirittura, soffocata dalla volgarità della massa che si appresta a frequentare gli stessi luoghi o che entra in possesso dei medesimi oggetti, andando così a perdere la sua aura di magia ed elevazione.


Quindi, come esplicato, la bellezza tanto inneggiata e ricercata ne risentirebbe, arrivando ad essere ridotta a mera ordinarietà, non più ad elevazione, eleganza e savoir-faire. La sua natura viene corrotta in queste situazioni che, ormai, sono all’ordine del giorno. 


Arrivati ad ascoltare fino a qui, parrebbe in un certo senso che il lusso autentico sia incarnato da rigidi e freddi intellettuali che, meccanicamente e distaccatamente, si riuniscono in qualche luogo intriso di storia per studiarne ed analizzarne i dettami culturali e le impronte di civiltà che, secoli prima, si erano insediate lì dove questi ultimi ora sorseggiano del the caldo.

Il lusso, invece, è un fenomeno ben più complesso, il quale non abbraccia solo la cultura: esso incarna la ricerca spasmodica della Bellezza, dell'elevazione e del sublime ed attua un dialogo fecondo e perpetuo con la cultura, il savoir-faire e l'arte. È moralmente condannato dalla società e dai "benpensanti" poiché, se da una parte si spinge verso l'assoluto e l'infinito rievocando la celestialità, dall'altra è alla continua ricerca del piacere (che, talvolta, scivola nel vizio), dell'occulto, della ribellione al sistema, rappresentando la quintessenza della seduzione più sottile. Si tratta di un armonioso dualismo tra celestialità e "peccato". Non a caso, le personalità più eminenti che lo rappresentavano trovavano la propria dimora ideale in quel sottile e affascinante confine che separa il genio dalla sregolatezza.



Nel lusso, ambito entro il quale il tempo gioca un ruolo fondamentale, è essenziale “sovvertire le regole” imposte dai comportamenti comuni, ovvero rifuggire dall’efficienza intesa come dispendio di tempo impiegato per svolgere attività meramente utilitaristiche e pragmatiche. Queste ultime devono essere integrate entro la propria routine ma non dovrebbero costituire il fulcro della nostra intera esistenza. Le attività pratiche devono essere vissute come tali, ma non dobbiamo lasciare che queste ultime prendano il sopravvento o tolgano del tempo alla nostra ricerca di straordinarietà, piacere, edonismo ed elevazione.


Le persone ordinarie, sono fermamente convinte che, l’improduttività costituisca una perdita di tempo e sono assalite dalla convinzione che non debbano in alcun modo perderne, come dimostrato dal motto “il tempo è denaro”.

La vita è fatta di emozioni, gioie, piaceri e sogni ed è indispensabile non sprecare tutto questo. In questo caso, come molte persone (anche quelle “utilitaristiche”) affermano, è legittimo il detto “il tempo è un lusso” ma, affinché possa essere ritenuto valido, non dovrebbe rappresentare solo uno slogan pseudo-pubblicitario fine a sé stesso, ma un vero e proprio stile di vita, un modus vivendi.


Il lusso è sapersi prendere il proprio tempo, godere di esso. È esattamente il contrario di ciò che prescrivono le regole dell'efficienza primaria. Il lusso non è guadagnare tempo, è godere del tempo. «Non c'è esistenza ben regolata che non abbia momenti liberi, e chi non sa trovarseli non sa vivere» afferma Marguerite Yourcenar.


Ma quali passatempi potrebbero essere “etichettati” come di lusso? Anche in questo caso, non esistono limitazioni o regole prestabilite. Costituirebbe una bassezza e sarebbe “volgare” stilare un elenco approssimativo dei passatempi lussuosi. Sono esclusivamente soggettivi e devono rimanere tali. In linea di massima, però, si possono delineare quelli che sono gli stati d’animo, le emozioni, le sensazioni ed i piaceri che bisognerebbe provare per godere appieno di tali passatempi.

È essenziale estraniarsi del tutto dalla quotidianità, evadere in un universo atemporale, godere di ogni singolo attimo, provare estasi, piacere, voluttà, elevazione; ricercare la Bellezza e l’arte in ogni dettaglio; rifuggire dall’ordinarietà; assaporare la lentezza, l’attesa dimenticandosi della frenesia della quotidianità e dei problemi e angosce legati alla stessa, dedicarsi solo ed esclusivamente a sé stessi in modo quasi (si potrebbe dire) “egoistico”; coltivare e far emergere le proprie riflessioni, emozioni e stati d’animo; non porsi limite alcuno, atteggiamento che impedisce il raggiungimento della pienezza interiore; non vivere congiuntamente più situazioni, ma una per volta, al fine di assaporarle appieno nella loro interezza; non badare al confronto ed evitare, dunque, atteggiamenti che implichino una sorta di rigidità mentale e di atteggiamenti preimpostati e studiati a tavolino derivanti dal voler dimostrare di essere i migliori in un determinato ambiente o ambito o dal voler ostentare il proprio status; assecondare (nel limite del lecito) i propri desideri ed impeti senza porsi troppi impedimenti di natura razionale.


Il suddetto elenco è solo una raccolta irrisoria ed approssimativa di alcuni di quelli che dovrebbero essere gli atteggiamenti da adottare per trascorrere il proprio tempo libero all’insegna del lusso. Di tali predisposizioni, si può ricorrere anche solo ad una, non necessariamente a tutte.

Per esempio, la “semplice” lettura di un libro, se condotta con la giusta attitudine e se si è predisposti nel modo adeguato, di semplice non ha nulla, poiché può arrivare a far raggiungere vette di elevazione inaudite e consente all’individuo di estraniarsi del tutto dal mondo, trasportandolo in un universo parallelo. La suddetta attività, a livello di sensazioni provocate, può essere assimilata al gustare una cena prelibata a lume di candela in un luogo senza tempo intriso di storia e fascino, come al fruire di un’opera d’arte.



Concludiamo tale episodio parlando dell’arte del vestire, rientrante nell’arte del savoir-vivre, poiché quest’ultima comprende una serie di comportamenti, attitudini e competenze che riflettono eleganza, buon gusto, rispetto per gli altri e per il contesto in cui ci si trova. Questo include la capacità di presentarsi in modo adeguato e armonioso nelle diverse situazioni sociali.


Nell’epoca contemporanea, assistiamo a un’invasione senza precedenti del cattivo gusto nel vestire, fenomeno che sembra aver travolto ogni ambito sociale, culturale e persino economico. È evidente come né la disponibilità finanziaria, né l’accesso al lusso possano rivelarsi garanzia di eleganza o raffinatezza. Le tendenze dominanti, spesso ispirate alle sottoculture più effimere e prive di una reale profondità estetica, hanno contribuito a instaurare un clima di declino stilistico, caratterizzato da un imbruttimento generale dei costumi. Questo degrado non è solo tollerato, ma paradossalmente celebrato, quasi fosse un simbolo di modernità o di un discutibile senso di ribellione verso le norme tradizionali del buon gusto.


L’asticella si è progressivamente abbassata fino a rasentare il fondo, con esiti che si manifestano in maniera lampante in luoghi un tempo emblema dell’eleganza e della classe. Si pensi, ad esempio, ai casinò: in passato, essi esigevano l’abito come condizione sine qua non per accedervi, incarnando l’idea che il vestire fosse parte integrante dell’esperienza sociale ed estetica offerta. Oggi, tale rigore è stato tristemente sostituito da un’unica e flebile restrizione: l’assenza di pantaloni corti. Simile è la situazione nei ristoranti, dove il dress code, laddove ancora richiesto, si limita a scoraggiare la presenza di ciabatte, e non a promuovere un’autentica eleganza.


I grand hotel, i ristoranti prestigiosi, i casinò e i teatri, un tempo palcoscenici privilegiati per l’esibizione del bello e dell’eleganza, si sono trasformati in teatri del cattivo gusto. Qui dominano accozzamenti stilistici improbabili, volgarità ostentate, sciatteria imperante e una disarmante mancanza di cura verso sé stessi e gli altri. In questo panorama sconfortante, il concetto di bello, un tempo valore cardine della società colta e raffinata, sembra aver perso il suo significato, lasciando spazio a una cultura che celebra il trascurabile e il banale. L’arte del vestire, ovviamente, subisce le pesanti ripercussioni di tale decadenza.


Paradossalmente, anche molti marchi di lusso hanno scelto di adattarsi a queste tendenze degradanti, orientando le loro creazioni verso estetiche che strizzano l’occhio al cattivo gusto, pur celandosi dietro l’alibi di un’espressione contemporanea e audace. Il risultato è che molti individui, pur disponendo di mezzi economici sufficienti per accedere a capi raffinati, finiscono per vestire in modo inelegante, tradendo una mancanza di discernimento e di gusto.


In questo scenario, si comprende perché coloro che sono ancora fedeli all’autentica arte del vestire si rivolgano sempre più frequentemente a sarti e artigiani di alta sartoria. Tali maestri dell’abbigliamento su misura, sono in grado di creare capi che riflettano il gusto personale del committente, modellando ogni dettaglio secondo criteri di eleganza, proporzione e unicità. Questo ritorno alla sartoria rappresenta non solo un atto di resistenza contro le tendenze dilaganti, ma anche un riaffermare con orgoglio l’importanza del bello, della cura di sé e della coerenza stilistica, valori che il mondo contemporaneo sembra aver relegato all’oblio.


Vestire, come ogni espressione dell’umana attività, è un atto di profonda rilevanza, particolarmente nel contesto del lusso, dove esso assume connotati di vero e proprio linguaggio culturale ed estetico. L’abbigliamento, lungi dall’essere un’operazione meramente utilitaristica o accessoria, si configura come un veicolo di identità, stile e appartenenza a un universo valoriale ben definito. Proprio per tale motivo, la scelta di come presentarsi al mondo attraverso il vestiario merita di essere affrontata con la massima serietà e consapevolezza.


Gli uomini e le donne che seguono l’arte del vestire, non dovrebbero cedere passivamente al fascino transitorio delle mode né, per spirito di contrapposizione o per un’ostentata ostilità verso la contemporaneità, dovrebbero rifuggirle categoricamente. Entrambi gli estremi rischiano di compromettere l’armonia del risultato: da un lato, l’adesione cieca alle tendenze può condurre a una perdita di autenticità personale; dall’altro, il rifiuto pregiudiziale può sfociare in un’immagine anacronistica, a tratti grottesca, che non si integra con lo spirito del tempo.


Coloro che seguono con raffinatezza e padronanza l’arte del vestire sono individui dotati di buon gusto, cultura estetica e sensibilità verso il bello. Questi tratti distintivi non si limitano a una conoscenza superficiale, ma si radicano in un’attitudine intellettuale e culturale che li rende capaci di discernere quello che è veramente elegante da quello che è semplicemente ostentato o inappropriato. La loro guida non risiede in direttive esterne, bensì in un senso innato e affinato di equilibrio e proporzione, che li orienta nelle scelte senza bisogno di rigide linee guida.


Tali individui, nell’aderire al proprio buon gusto personale, si distinguono per la capacità di non farsi condizionare dai gusti altrui, né nel seguirli né nel respingerli. Il loro approccio è orientato da un’autonomia critica e da una consapevolezza estetica che evita sia la subordinazione alle opinioni dominanti sia l’opposizione gratuita e sterile. Essi riconoscono istintivamente il cattivo gusto, un fenomeno che, purtroppo, non risparmia neppure il settore del lusso, spesso teatro di eccessi e disarmonie mascherati da audacia creativa.


L’arte del vestire, nel suo essere espressione di cultura, raffinatezza e profonda consapevolezza estetica, si trova talvolta a confrontarsi con questioni la cui complessità deriva da confini sottili e facilmente fraintendibili. Persino i più acuti cultori del bello, coloro che possiedono un gusto raffinato e una spiccata sensibilità, possono incontrare difficoltà nel discernere tra concetti che, pur distinti, si sovrappongono erroneamente sia nel linguaggio sia nello stile. Tra questi, spiccano l'appariscenza e l'eccentricità, due nozioni che, pur presentandosi talvolta come simili, divergono radicalmente nei loro significati e implicazioni.


L’appariscenza, figlia diretta del kitsch, rappresenta un territorio che chi aspira alla vera eleganza deve categoricamente evitare. Essa si manifesta attraverso l’uso di loghi vistosi, accostamenti cromatici sgargianti e una disarmonia stilistica che tradisce la mancanza di coerenza e buon gusto. Questo approccio, lontano dall’essere audace, si avvicina alla volgarità, opponendosi frontalmente all’eleganza, la quale si fonda su equilibrio, proporzione e discrezione. L’eccentricità, invece, se ben calibrata e adoperata solo per i dettagli (uno o massimo due per outfit), può risultare un’espressione di personalità e creatività, ma mai deve degenerare in appariscenza, pena il rischio di scivolare nel cattivo gusto.


Un altro aspetto cruciale dell’arte del vestire riguarda l’adattamento al contesto. Ogni circostanza richiede un abbigliamento specifico, e la capacità di individuare il giusto equilibrio tra formalità, estetica e funzionalità è segno distintivo di chi padroneggia quest’arte. Tuttavia, la maestria non risiede esclusivamente nella capacità di scegliere il vestiario adeguato a seconda della circostanza, ma nella preservazione di uno stile personale che, pur adattandosi alle circostanze, rimane costante e riconoscibile. Cambiare l’abito senza tradire la propria identità stilistica, è un tratto distintivo degli esperti del vestire, che vedono nel loro stile un filo conduttore tra le diverse occasioni.


Infine, un tema di grande rilevanza riguarda il rapporto con i marchi di lusso. Da un lato, vi sono coloro che, per partito preso, li snobbano, spesso con un atteggiamento di ostentata indifferenza; dall’altro, vi sono quelli che li collezionano in modo maniacale, attribuendo loro un valore intrinseco e indipendente dalla qualità o dal design. Entrambi gli approcci, estremi e privi di equilibrio, tradiscono una mancanza di giudizio critico e buon gusto. Chi padroneggia l’arte del vestire non si lascia condizionare dal prestigio del brand, ma valuta ogni capo o accessorio secondo criteri di estetica e coerenza stilistica. Loghi eccessivamente vistosi, ad esempio, non possono essere considerati eleganti, indipendentemente dal marchio che li produce. Il vero intenditore saprà scegliere solo quello che risponde ai suoi standard di bellezza e raffinatezza, mantenendo intatti la propria identità stilistica e il proprio buon gusto.


Epilogo dell'episodio


Siamo giunti alla conclusione di tale episodio. Riepilogando, chi vive nel lusso, quindi chi adotta un approccio quantitativo e non qualitativo, chi ostenta e non celebra, chi cerca l'approvazione altrui e non la propria individualità, è estraneo all'arte del savoir-vivre, arte che trova la sua massima espressione in coloro che vivono il lusso e di lusso.


Riferimenti utili


Il podcast offre un percorso esclusivo e rigoroso alla scoperta del lusso, ma per chi desidera un accompagnamento più diretto e personalizzato, Valeria Torchio mette a disposizione la propria esperienza pluridecennale attraverso servizi formativi, strategici e operativi di eccellenza. Per approfondimenti, si consiglia di prendere visione della seguente pagina: I servizi di Valeria Torchio.


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